Non solo Covid

di Barbara Fabbroni

Lo abbiamo imparato a conoscere nel momento più buio della nostra vita, ci ha accompagnato e ancora ci accompagna in questo arduo cammino. È un uomo coerente, autentico ma soprattutto un medico profondamente etico e lineare. Intervistarlo è sempre un piacere, il Prof. Matteo Bassetti regala sempre spunti di riflessione importanti.

Professore, stiamo vivendo un momento particolare perché “siamo in un incrocio” – come ha scritto lei in un suo post su Instagram – “infernale tra influenza e Covid”, ci racconti qualcosa di più?

Siamo, purtroppo, in un momento particolare perché abbiamo la peggiore stagione influenzale, probabilmente del dopoguerra, infatti, abbiamo una curva di crescita che è impressionante, praticamente la crescita del numero dei nuovi casi è verticale. Non avevamo visto una situazione del genere dal 2009, quando avevamo avuto l’ultima grande pandemia influenzale, ma dobbiamo andare indietro di molti anni ancora prima di osservare una situazione simile. Oggi, non abbiamo solo l’influenza da fronteggiare, abbiamo contemporaneamente altri virus influenzali o para influenzali oltre al Covid che ci fa compagnia ormai da tanto tempo e che sappiamo che è un virus molto contagioso. Fortunatamente per la maggioranza delle persone che sono vaccinate o che sono guarite dal Covid, non così aggressivo come il Covid 2020, però si somma alle altre influenze.

Quindi cosa succede?

Succede che noi medici ci troviamo in una situazione paradossale!

Ovvero?

Ci domandiamo laddove una persona ha la febbre, ha la tosse, ha mal di gola e ha male alle articolazioni o alle ossa avrà il Covid, avrà l’influenza o avrà un virus parainfluenzale? Ecco, questo è il cosiddetto “trio infernale”, di fronte al quale non avremmo voluto trovarci e soprattutto, di fronte al quale avremmo voluto, tutti noi medici, che gli italiani si fossero posti in maniera diversa.

Cosa vuol dire in maniera diversa?

Abbiamo il 70% degli over 70 che non hanno ricevuto ancora la dose di richiamo, la cosiddetta quarta dose in questo 2022 per il Covid e moltissimi che non avevano fatto la vaccinazione antinfluenzale. Questa non è una buona cosa. Per cui si rischia di mettere nuovamente pesantemente in crisi il nostro grandissimo sistema sanitario nazionale.

Certo, a questo punto, volevamo non arrivarci, lei mi insegna che la vaccinazione antinfluenzale dovrebbe diventare una sorta, mi consenta il termine poco scientifico, di routine?

Dovremmo tutti quanti farci l’antinfluenzale, è soprattutto un’assicurazione. Io la chiamo “un’assicurazione sulla tutela delle vacanze di Natale”.

Un’assicurazione per le vacanze di Natale?

Nel senso che certamente ci sono tanti periodi dell’anno importanti però, stare male proprio tra Natale, Santo Stefano e San Silvestro ci porta evidentemente a non poter stare con i parenti, non poter stare con gli amici, non poter festeggiare. È chiaro che oltre a un investimento sulla salute, è anche un investimento sociale tra virgolette. Stare via sette giorni dal lavoro, dalle attività, dai festeggiamenti non è una cosa piacevole. Dovrebbe essere una cosa di routine nella realtà, nel nostro paese non è così. Dobbiamo ancora crescere dal punto di vista culturale, proprio sulla cultura della vaccinazione come prevenzione. C’è ancora troppa ignoranza che serpeggia nel nostro paese. Purtroppo abbiamo a che fare con molti analfabeti funzionali che pensano che i vaccini non servano. Di fronte a cotanta ignoranza non si possono che mettere i numeri e i numeri sono impietosi. Per chi ha passato gli ultimi mesi e anche anni a parlare male dei vaccini, purtroppo questi sono i risultati per aver fatto una cattiva informazione.

Sembra un paradosso, siamo nell’epoca del metaverso, la tecnologia sta andando avanti più veloce della luce eppure, ancora, c’è questo grande pregiudizio nei confronti dei vaccini, come se fosse la pozione del mago e dello stregone, dovremmo invece avere la mente aperta al vaccino come prevenzione della salute?

Il problema è che la mente si apre nel momento in cui c’è la mente, se non c’è evidentemente cosa vuoi aprire? Purtroppo, abbiamo a che fare, come ho detto prima, con soggetti che io definisco “no brain”, lì non c’è la mente e quindi c’è poco da aprire.

Perché ancora ci sono tanti medici “no vax”?

Le posso dire che il 99,3% dei medici italiani si è vaccinato, abbiamo a che fare per fortuna con una assoluta minoranza. Credo che un medico che è contro i vaccini, è un medico che, secondo me, non deve chiamarsi tale, non dovrebbe esercitare la professione. Le dico questo perché viene meno al giuramento di Ippocrate che ci dice che noi dobbiamo lavorare in “scienza e coscienza”. Allora un medico che non vaccina sé stesso evidentemente non vaccina i propri pazienti, i propri assistiti, quindi, è un medico che deve cambiare mestiere. Vuol dire che quel medico, magari come non crede ai vaccini e non li usa, non crederà nella medicina degli antitumorali, degli antidiabetici. È un medico a cui manca una parte fondamentale del nostro armamentario e quindi è un medico che deve cambiare mestiere. Mi auguro che dal punto di vista legislativo, anche ordinistico, essendo un problema deontologico, etico, chi non si vaccina e chi decide di non vaccinare i propri pazienti venga espulso dagli ordini dei medici e, quindi, non eserciti più la professione.

Le persone che in questi anni di pandemia hanno ascoltato le notizie si sono trovati difronte a correnti di pensiero così diverse che sono entrate in confusione, ancora oggi ci sono tante incertezze, le fake news hanno invaso la rete social e non solo.

È indubbio che la gente, poverina, sia stata vittima di questo sistema, dove credo che all’interno di questo movimento di persone scettiche o contro i vaccini ci siano alcune persone che sono assolutamente vittime di un mondo che è governato evidentemente da alcuni che hanno dei grossi interessi, perché lei capisce che nel momento in cui molti miei colleghi, e non solo, vanno contro i vaccini, non è che propongono il nulla, bensì propongono i loro rimedi che sono gli integratori, le pozioni magiche, i farmaci non approvati. Il business vero oggi non è quello dei vaccini è quello dell’anti vaccinismo, che arricchisce non le Big Pharma, ma quattro farabutti che vendono evidentemente dispositivi e presidi che non hanno avuto nessun tipo di valenza scientifica. È bruttissimo pensare che oggi ci sia della gente che di fronte a 15 miliardi di vaccini somministrati nel mondo continui a parlare di “siero genico sperimentale”, questa è la migliore espressione dell’ignoranza di una certa parte del nostro paese.

Professor Bassetti: come facciamo a distinguere i sintomi Covid dai sintomi influenzali?

Impossibile! Non è possibile differenziarli. I sintomi del Covid oggi sono veramente molto simili a quelli dell’influenza, anzi, posso dire una cosa? Nei vaccinati oggi il Covid ha dei sintomi anche più lievi di quelli che dà l’influenza. Quest’anno l’influenza dà una bella bastonata, dà la febbre alta per due o tre giorni, mentre il Covid oggi dà molti meno sintomi rispetto a quello che era nel passato. Quindi direi che è molto difficile differenziarli. È la ragione per cui è importante vaccinarsi, almeno in qualche modo, le persone aiutano il medico. Se sei vaccinato per entrambi, almeno le forme più impegnative non dovresti averle.

Ci sono dei farmacisti che propongono anche il test doppio che differenzia Covid da influenza, che ne pensa?

Si ricorda quando si giocava da ragazzini all’allegro chirurgo, ecco gli italiani amano giocare all’allegro infettivologo. Il test per vedere se hai l’influenza o il Covid lo deve fare e consigliare il farmacista e prenderselo il malato, a sua discrezione, o devono essere i medici che lo decidono di farlo quando serve? Perché altrimenti non ho capito perché ho studiato medicina per sei anni, mi sono fatto quattro anni di specializzazione, quattro di dottorato e faccio il professore universitario. Se chiunque va in farmacia e fa l’allegro infettivologo, credo che siamo molto lontani da dove dovremmo tornare ad essere!

In un post di Instagram, lei ha scritto: “perché sulla situazione Covid stiamo guardando la pagliuzza e non la trave”, perché?

Esatto! Purtroppo, non ci stiamo rendendo conto che noi abbiamo rincorso il Covid per gli ultimi due anni perdendo di vista tutto il resto e poi è arrivata l’influenza che è veramente la trave. Ma una trave pesante! Abbiamo dedicato, secondo me, troppe energie al Covid, troppi discorsi, e l’influenza è arrivata dura tanto da prenderci veramente a ceffoni. Oggi il Covid è una pagliuzza rispetto a quanto è l’influenza che è la trave, quindi cerchiamo di guardare la trave, non più la pagliuzza.

Che cosa fare se scopriamo di essere positivi al Covid?

La prima cosa da fare se una persona è positivo sintomatico è una terapia, viceversa se sei positivo asintomatico non devi fare assolutamente nulla, a meno che tu non sia una persona particolarmente fragile, un trapiantato, una persona che ha la leucemia, un tumore o sei molto anziano. Questa categoria di persone, anche se sono asintomatiche, possono fare dei farmaci che sono i cosiddetti antivirali, e possono essere presi sia dai primi giorni.

Se una persona è sintomatica come dovrà curarsi?

Curare i sintomi con gli antinfiammatori come l’aspirina, l’ibuprofene o simili per 3/4 giorni, non di più. Dopodiché tutti gli intrugli che vengono consigliati da questi santoni del mondo novax, come l’ivermectina, l’idrossiclorochina, la lattoferrina, vitamina D, o altri intrugli non servono assolutamente a nulla. Non c’è neanche uno studio che dimostri che questi farmaci servono, ma la cosa più importante da non fare è prendere gli antibiotici. Gli antibiotici nel Covid non servono assolutamente a niente, se non a ingrassare i batteri, cioè a farli diventare resistenti, e ingrossare.

Mi sembra di comprendere che il Covid abbiamo imparato a gestirlo?

Esatto, non solo abbiamo imparato a gestirlo, ma oggi il Covid, grazie alla vaccinazione, siamo riusciti ad attenuarne le conseguenze. Il problema vero è quello che alcuni pensano che il Covid Omicron sia uguale in tutti sia per chi è vaccinato sia per chi non è vaccinato, non è così. In questo momento da me in ospedale ho molte persone che non si sono vaccinate e che, ahimè, hanno la polmonite esattamente come ce l’avevamo nel 2020. Quindi occhio, perché non essere vaccinati o non avere gli anticorpi da guarito vuol dire essere esposti comunque a delle conseguenze importanti. Oggi il Covid è veramente una situazione clinica molto facile da affrontarsi, quasi più facile rispetto all’influenza. Se devo scegliere di avere davanti a me un paziente con l’influenza di quest’anno o con il Covid scelgo il Covid. Il progresso che la medicina e la scienza è riuscita a fare rispetto al Covid, in soli due anni, è straordinario, non abbiamo fatto mai così tanto in così poco tempo, quindi applaudiamo la scienza, applaudiamo la medicina e soprattutto, cerchiamo di essere anche capaci di sfruttare le scoperte e le intuizioni, perché oggi non utilizzare i farmaci antivirali o non utilizzare i vaccini o non utilizzare le conoscenze vuol dire non essere in grado di vivere in maniera adeguata.

Perché: “se le regole non cambiano, il sistema rischia di saltare”?

Perché noi stiamo rincorrendo il Covid come fosse quello del 2020, cioè dove una persona era potenzialmente un grave untore. All’inizio nessuno aveva gli anticorpi, nessuno in qualche modo era in grado di affrontare questo virus. Oggi rincorriamo il Covid con il tamponificio seriale: uno entra in ospedale perché cade dal motorino, perché deve fare un intervento chirurgico e ti fanno il tampone. Questo è un errore, oggi andare a rincorrere così serialmente il Covid ci fa perdere di vista intanto gli altri problemi infettivi per cui se uno entra in ospedale oggi con l’influenza, tu lo metti in un reparto con tutti gli altri e l’influenza fa quasi più danni di quanto ne faccia il Covid, ma soprattutto mette in stress il sistema per cui va bene se hai dei sintomi respiratori e sei un immunodepresso, ti farò il tampone e cercherò di metterti nel luogo più opportuno, ma se devi andare in un reparto perchè hai un infarto, mi spiegate che senso ha continuare a tamponare le persone anche se sono asintomatiche? Questo crea un sistema che è al collasso. Per questo dobbiamo cercare di evitare di continuare con il tamponificio, soprattutto degli asintomatici. Torniamo a fare i tamponi a chi ha i sintomi, smettiamola di fare i tamponi a chi non li ha!

Cambio completamente registro: le mega truffe con il suo nome?

È un argomento terribile. Pensi che negli ultimi giorni qualcuno, un giornalista, è riuscito a scrivere un articolo online dicendo che io sono un farabutto, perché vendo queste cose. Sono veramente affranto, demoralizzato, depresso. È da un anno che con il mio avvocato abbiamo denunciato alla Procura della Repubblica di Genova, ad oggi non ha fatto praticamente quasi nulla. Io l’ho scritto sulla mia pagina Facebook, sulla mia pagina Instagram sono tutte truffe. Non produco e vendo nulla di tutto quello che promuovono, le persone continuano a scrivermi, a riempirmi di e-mail, un vero inferno.  Le persone hanno acquistato centinaia di confezioni di questi farmaci. Sono sconcertato più della gente che si è fatta fregare che di chi li ha fregati.

Insomma, è una pandemia dell’ignoranza?

Eh sì, la pandemia dell’ignoranza. La pandemia dei profittatori, la pandemia degli invidiosi. Questa è la pandemia dei cretini.

Dopo tutto quello che abbiamo vissuto in questi anni ci dobbiamo aspettare un’altra pandemia?

Ma guardi, siamo già in una nuova pandemia perché l’influenza sta facendo dei numeri nel mondo, in tutto il mondo strabilianti. Quattordici milioni di casi solo negli Stati Uniti in poco più di tre settimane, quindi, la pandemia ce l’abbiamo già con l’influenza. Noi abitiamo in un mondo globale, dove per andare da una parte all’altra del globo ci metti dodici ore, e, quindi, un microrganismo, un virus, un batterio, un fungo ci mette un attimo ad arrivare. Noi dobbiamo essere sempre pronti all’arrivo di un nuovo nemico, può essere dietro l’angolo.

Come si può fronteggiare?

Non facendo lockdown, chiudendo le scuole o mettendoci le mascherine. Essere pronti vuol dire essere culturalmente pronti. Ci vuole un sistema di sorveglianza dove gli Stati si parlino, ci vuole una regia, il Covid ci ha dato un bell’insegnamento. Dovevamo essere migliori ma in realtà credo che siamo molto peggiori di come eravamo prima del Covid. Se devo dare uno sguardo sul futuro è uno sguardo da questo punto di vista molto pessimista, nel senso che siamo usciti dalla pandemia in una maniera molto peggiore di come ci siamo entrati, questa è una nota stonata.

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Se fosse stato un grattacielo chissà cosa accadeva

di Barbara Fabbroni

È in libreria il terzo romanzo di Pier Vincenzo Gigliotti: Aria d’estate edito da La Rondine. È una storia avvincente, intensa, densa di significati significanti, aperta alla sua eterna cifra esistenziale e misterica. Nella cornice dell’Italia degli anni Settanta, Aria d’estate racconta un viaggio lungo una vita; un viaggio costellato di prime volte, vissute con l’entusiasmo tipico dei giovani, ma anche di momenti duri, che insegnano a crescere. I temi della discriminazione e della violenza, in un ambiente scolastico retaggio di un’epoca in cui l’educazione andava di pari passo con l’austerità, sono trattati da Pier Vincenzo Gigliotti con una penna delicata. L’autore si pone nei panni di tutti quei bambini che hanno vissuto le stesse esperienze per tutti i Claudio, i Giacinto, le Giorgia, i Giovanni, perché non riaccada, per non dimenticare. Giovanni è un bambino come tanti: passa le sue giornate a rincorrere un pallone sgonfio, in un tempo in cui non ci sono social e le vetrine dei negozi mostrano i walkie-talkie al posto degli smartphone. Ben presto si trova a fronteggiare la prima delle tante sfide che la vita gli porrà davanti: la scuola elementare. Tra quei banchi, insieme ai suoi compagni, scoprirà l’importanza dei legami affettivi e dell’altruismo, in un mondo in cui non tutto va come dovrebbe. La cifra di questo lavoro si pone come spartiacque tra ieri e oggi, tra l’essere e il non essere, tra la vita autenticamente vissuta e la vita imposta e incasellata in pregiudizi. Tutto ruota intorno al mistero e alla grazia della vita stessa di cui Pier Vincenzo Gigliotti ne è narratore delicato e sottile, emozionante e intuitivo, avvolgente e coinvolgente. Lui, con la sua timidezza delicata e intuitiva si racconta e ci racconta del suo mondo e della sua talentuosa penna.

È uscito il suo terzo romanzo, come nasce l’amore per la scrittura?

Non è facile spiegarlo. Ho iniziato a scrivere a quarantotto anni, dopo vent’anni di attesa.

Perché tanta attesa?

I romanzi erano già tutti nella mia mente, essendo una persona timida e riservata avevo timore di espormi e aprirmi attraverso la scrittura.

Si sta avverando un sogno nel cassetto?

Già! Li ho tenuti nascosti nel cassetto della mia mente fintantoché non ho trovato il coraggio di scrivere.

Che tipo di romanzi sono?

Sono romanzi di formazione.

Cosa significa “romanzi di formazione”?

Il mio primo romanzo: Radici nel vento (Local Genius, 2019) racconta la storia di un mio amico d’infanzia: Alberto Matano. Abbiamo un’amicizia molto bella, ci conosciamo sin da bambini, siamo cresciuti insieme, lui con la famiglia abitava sotto al mio appartamento. Nel palazzo abitava anche Claudio Ranieri, all’epoca era il capitano del Catanzaro e poi una volta che lui è andato via è arrivato Massimo Palanca che è stato il nostro eroe, per un’intera generazione. Da lì è partito tutto.

Arriva il romanzo L’anno più bello (La Rondine, 2020) e poi Aria d’estate (La Rondine, 2022), di cosa parla il suo ultimo romanzo?

A differenza dei primi due non parla né della mia città né di calcio, racconta e mette a confronto la scuola di ieri con quella di oggi.

Ovvero?

La scuola di ieri era fatta di punizioni corporali, di riformatorio giudiziario, era una scuola molto forte, rigida, che mi ha segnato e volevo un po’ raccontare la mia esperienza per fare comprendere ai giovani di oggi quanto sono fortunati. I ragazzi di oggi a scuola trovano un ambiente accogliente, degli insegnanti capaci di seguirli, di comprenderli capendo le loro problematiche. I problemi dei ragazzi di oggi sono presi in considerazione, accolte. Ai miei tempi problematiche come l’autismo, la dislessia, la discalculia non si conoscevano erano considerate quasi che lo studente che non aveva voglia di studiare, di impegnarsi tanto da essere punito e non compreso. Mancava la capacità di cogliere il bisogno dell’Altro e di mettersi nei panni dello studente per cercare di comprendere se c’era un reale problema.

Torno un attimo indietro: perchè un romanzo di formazione?

Perché è quello che riesco a scrivere, mi piace molto il contatto con i ragazzi vorrei portare i miei racconti a loro, affinché possano trarne spunti di riflessione.

C’è qualcosa di autobiografico all’interno di questi romanzi?

Nella prima parte molto, poi il romanzo e la narrazione prende corpo e si arricchisce della mia fantasia, dei miei pensieri, della mia immaginazione.

Ci sono eventi scolastici che si sono impressi indelebilmente nella sua memoria?

Avevo un compagno dislessico che si è preso tante botte dalla maestra perché pensava che non studiasse, un altro mio compagno era terrorizzato dall’idea di finire in un riformatorio giudiziario, a quei tempi c’era la minaccia costante del riformatorio, solo perché era balbuziente.

Cosa è rimasto di questo vissuto oltre che la narrazione nei suoi romanzi?

Una ferita, la rabbia verso la scuola, queste esperienze non ti fanno amare la scuola. Cerco attraverso i miei racconti di far comprendere ai ragazzi quanto è importante la formazione, lo studio, la scuola è una seconda casa che va protetta e dove bisogna vivere bene. Oggi, a differenza di ieri, la scuola è una casa accogliente.

Poi lei è diventato avvocato ed è responsabile dei Progetti Speciali dell’US Catanzaro 1929. Da quell’esperienza ne è venuta fuori una risorsa e una spinta a emergere?

Bravissima, esattamente, è proprio così.

Come dire far diventare un limite una risorsa?

È uno stimolo, una reazione. Quando hai subito e vissuto esperienze così significative perdi l’autostima, ti senti smarrito, così quando riesci a tirare fuori il tuo mondo sommerso allora è come vivere una sorta di riscatto, una rivincita. Ti liberi da un peso trasformandolo in un messaggio di aiuto e speranza. È un riscatto.

Che cos’è che non andava bene di Pier Vincenzo a scuola?

Non ho avuto i problemi che hanno vissuto i miei compagni, ho solo assistito ma quelle esperienze si sono cementate comunque dentro di me, ero un ragazzo molto timido e mi hanno condizionato tanto che per molti anni non riuscivo a esprimere quello che vivevo nel mio mondo interiore.  La paura che vivevo a scuola mi ha reso ancora più chiuso, ero come congelato in un mondo interiore. Mi sono impegnato molto durante la mia vita per superare la timidezza.

Era timidezza o il bisogno di proteggere sé stesso e l’altro?

C’era anche il bisogno di proteggere l’altro, non solo timidezza.

Oltre a essere avvocato si occupa anche di calcio, come si coniugano questi due lavori?

Il calcio è una cosa tutta diversa, nasce perché ho da sempre amato la squadra della mia città, ho un forte senso di appartenenza. Quando ero piccolo non ci sono state solo cose negative ma si insegnava il senso di appartenenza, il rispetto, l’amore per la propria terra. Io ho avuto la fortuna di avere Claudio Ranieri e Massimo Palanca che abitavano nel mio palazzo, da lì l’amore per il calcio è stato amore infinito. Così ho cercato sempre il modo di avvicinarmi al calcio. Ci sono riuscito nel 2017 con la nuova proprietà, il mio sogno era portare i calciatori del Catanzaro a scuola e ci sono riuscito.

E cosa fate?

Facciamo dei dibattiti aperti, molto coinvolgenti. I ragazzi sono entusiasti, hanno i loro eroi calcistici in classe con cui possono parlare, confrontarsi

Lei ha vissuto nel palazzo della grande bellezza?

Eh, ha detto tutto. Erano tutti personaggi sconosciuti che poi sono diventati famosi. È stato tutto casuale. Il tempo mi ha fatto comprendere la fortuna che ho avuto da bambino. Non potevo pensare da piccolo che i miei amici sarebbero diventati dei personaggi famosi, questo mi ha portato a scriverci delle storie.

E Pier Vincenzo Gigliotti è un grande scrittore?

Troppo buona!

Ogni piano del palazzo ha avuto una professione di successo?

È molto simpatica, magari! La strada è lunga da percorrere … ho iniziato tardi.

Una curiosità: il palazzo di quanti piani è composto?

(Ride) Cinque piani ed erano tutti occupati.

Se fosse stato un grattacielo chissà cosa accadeva?

Ha ragione!

Essere famosi cosa significa e rappresenta per lei?

È qualcosa che ancora non ho sperimentato, sono conosciuto nella mia città ma non fuori da quel perimetro. Quando si è famosi si comprende bene chi sono i veri amici. Spesso quelli su cui credevi di contare si defilano mentre alcune persone che non pensavi potessero tenderti una mano sono lì pronti a farlo. Ho imparato già questa lezione.

Perché il titolo: Aria d’estate?

È molto profondo.

Può spiegarmi cosa significa?

Nella vita del protagonista ci sono una serie di stagioni che sono parallele a quelle metereologiche. C’è l’autunno che è il momento dell’inizio del periodo scolastico, fatto di umiliazioni e mortificazioni, poi un giorno accade che la mortificazione la vive in prima persona con una punizione corporale. Da lì comincia l’inverno della sua vita che coincide con un periodo un po’ più lungo, perché la ragazza che lui ama sceglie un altro. Poi un giorno all’improvviso, come spesso accade, sboccia la primavera, durante un’occupazione scolastica si ritrova con una persona che ama e prende vita una storia d’amore che, dopo alterne vicende, finalmente arriva l’estate, la felicità. Il tutto arriva dopo un periodo buio.

C’è in cantiere il quarto romanzo?

Le idee ci sono, ma al momento è tutto nella mia testa. L’idea è quella di fare un romanzo sulla disillusione. Avere dei sogni che spesso non si realizzano.

Da grande cosa farà?

Questa è una bella domanda. Vorrei continuare a scrivere e far sognare.

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