Chico Forti, un ritorno contrastato

Da più di un anno si attende il ritorno dagli Usa dell’italiano accusato tra mille dubbi

“Italiano, presumibilmente innocente, è stato rinchiuso nelle prigioni Usa 22 anni per scontare un ergastolo. Una condanna che sembrava definitiva, dopo un processo a dir poco lacunoso, caratterizzato da improbabili verità, arguzie, fraintendimenti, omissioni e stratagemmi con l’obiettivo chiaro di pervenire a una sentenza di condanna”. Racconta la vicenda di Enrico Forti, detto Chico, il presidente di AssoTutela Michel Emi Maritato che così continua: “Ci siamo occupati più volte di lui, per l’ingiustizia perpetrata nei confronti di un nostro connazionale e ora vorremmo svelare il mistero che si cela di fronte al suo mancato trasferimento in Italia, in base alla Convenzione di Strasburgo del 1983. Il 23 dicembre 2020 il governatore della Florida, Ron De Santis, grazie anche all’interessamento della Farnesina – spiega Maritato – firmò l’atto ma la procedura di estradizione non si è mai conclusa. Ostacoli burocratici? Prese di posizione? Intralci diplomatici? Gli italiani vorrebbero sapere. Chico Forti ha trascorso un terzo della sua vita dietro le sbarre per un omicidio che ha sempre sostenuto di non avere commesso. L’assenza di ogni traccia di Forti sulla scena del crimine, a Sewer Beach, dove non sono presenti né Dna né impronte del presunto assassino, è un dato certo. Forti è stato condannato per essere stato uno degli ultimi contatti della vittima: una scheda telefonica usata per contattare Forti e il biglietto aereo acquistato dall’italiano per Pike, sono alcuni dei pochi reperti trovati sulla spiaggia dove Dale Pike venne abbandonato nudo e con due proiettili conficcati nel cranio. Ma perché mai Chico avrebbe piazzato sulla scena elementi riconducibili alla sua persona? Uno dei tanti gialli nel giallo. E ora, si attende solo il suo arrivo in Italia, le autorità debbono eseguire quanto stabilito, o almeno chiarire quali siano gli ostacoli”, chiosa il presidente.

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