“Cannabis libera”. A volte ritornano

di Michel Emi Maritato

Cento parlamentari rivolgono un appello a Conte. Si sollecita la legge per le droghe leggere libere

Fare cassa sulla pelle dei giovani. Questa è l’insidia che si nasconde dietro la proposta di legalizzazione delle droghe leggere. Una proposta che, come un fastidioso raffreddore di stagione, di tanto in tanto si riaffaccia. In questo caso a esserne investiti, gli evanescenti “Stati generali” e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a cui, nel corso della kermesse è arrivata la lettera-invocazione, su proposta del parlamentare pentastellato Michele Sodano seguita da un centinaio di firme, in maggioranza M5s, poi dal Misto e altri partiti. Con uno stile discutibile, il drappello di parlamentari che ha utilizzato il momento di incertezza derivato dalla situazione generale, con una ripresa dalla crisi Covid che stenta a prendere forma, ha proposto al presidente Conte un documento finalizzato a rimettere in moto il percorso legislativo di legalizzazione della cannabis. “Legalizzare la cannabis per creare lavoro e far emergere un business sommerso durante la crisi economica epocale che si prospetta nel nostro paese”. Ė questa la motivazione addotta nel documento, insieme alla volontà di “strappare un business miliardario alle mafie”. E ancora: “entrerebbero nelle casse dello stato 10 miliardi di euro”, ovvero per i proponenti, la legalizzazione può essere usata quale maggior gettito fiscale conseguente dalla vendita legale dei prodotti derivati dalla cannabis. A supporto di tale argomentazione ci sarebbe lo studio di Marco Rossi, docente dell’Università di Roma “La Sapienza”, che spiega come “la liberalizzazione dei cannabinoidi genererebbe tale beneficio per le casse dello Stato, di cui 2 miliardi derivanti dai risparmi dall’applicazione della normativa di repressione e 8 miliardi di nuovo gettito fiscale”. Nella esposizione di questa tesi non si accenna al probabile incremento dei consumi di cannabis, che quasi sicuramente sarebbe indotto, in seguito all’approvazione di una normativa “permissiva”. Tale possibilità, a nostro avviso, nasconderebbe una ulteriore insidia: siamo sicuri che i consumatori smettano di rivolgersi al mercato illegale? In ogni caso, ciò che risulta indigeribile è la giustificazione a tale iniziativa: l’”utilità” materiale per lo Stato. Insistere sugli aspetti utilitaristici di tale intervento legislativo, adducendo motivazioni di sicuro beneficio per le casse pubbliche, è come avanzare l’ipotesi di riapertura delle case “chiuse”. Sarebbe moralmente giustificabile uno Stato che si arricchisce a danno della salute delle persone? Non è giustificabile fra l’altro, l’applicazione dei “due pesi e due misure”. La tendenza, nel campo delle droghe leggere, è esattamente opposta a quella che lo stesso Stato utilizza per il tabacco e l’alcol: aumentare le tasse per ridurne il consumo. Certamente non si è ancora giunti a una tale sensibilità nel gioco d’azzardo, che dovrebbe essere trattato nella stessa maniera. Ma proprio il fatto che si accosti la normativa sugli stupefacenti “light” al sistema usato per il gioco d’azzardo – “lo Stato ci guadagna” – fa emergere la schizofrenia della proposta. Compito dello Stato sarebbe quello di proteggere i cittadini e la loro salute. Trarre lucro su abitudini poco salutari qualche problema di carattere morale alle nostre istituzioni dovrebbe sollevarlo. Supponendo un probabile aumento del 20% degli attuali consumatori di cannabis, stimabili oggi in circa 500 mila, si arriverebbe a migliaia di persone in più da curare presso i Sert, le comunità, centri per la salute mentale. Sarebbe utile inoltre, che agli studi sulle ricadute economiche della legalizzazione si affiancassero studi sui riflessi per la salute derivanti da assunzione di cannabinoidi. Ci si chiede, a questo punto, dove sia il guadagno. La pratica dello “sballo” non è altro che il riflesso di una società decadente che confonde l’idea di libertà con la irresponsabilità. Approfittare della fragilità dei giovani per fare cassa apporterebbe un iniziale, apparente beneficio che la società, nel medio termine, pagherebbe in realtà molto caro.

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