di Michel Emi Maritato
Ufficialmente il sistema “ha retto” ma è strage nelle Rsa e i tamponi sono insufficienti
Diffusione Covid-19 nel Lazio, facciamo il punto. Uno degli ultimi decessi è riferito a una donna 97enne ospitata nella Rsa di Rocca di Papa. La notizia, emersa nella periodica conferenza stampa dell’assessore alla Sanità Alessio D’Amato, riporta prepotentemente alla luce le vicende relative alla gestione della epidemia da parte delle strutture residenziali per anziani. Nella Regione Lazio è tutto legato a un bando del 28 marzo, pubblicato sul sito ufficiale, consistente nella “manifestazione disponibilità allestimento Rsa per pazienti Covid-19 positivi” che ha dato vita a numerose polemiche, specie con i vertici regionali della Lombardia, che in precedenza avevano proposto analoga richiesta. Nell’avviso, si parla di ricoveri in “nuclei isolati da allestire in base alle disposizioni del ministero della Salute”, dando la preferenza nella scelta a “strutture interamente dedicate”. Emerge dal testo come l’avviso prevedesse il trasferimento di anziani da case di riposo focolai d’infezione, tal quale quello lombardo ma, strano a dirsi, in tutta Italia si è parlato soltanto delle vicende legate alla giunta presieduta da Attilio Fontana. Riguardo al caso Lazio silenzio totale anzi, si potrebbe parlare di una comunicazione in “lock down”, confinata alle uniche notizie ufficiali, occultando ciò che non torna utile alla vulgata corrente. E arrivano gli interrogativi sui tamponi, sui dimessi, sui contagiati nelle Rsa, sulla durata dei ricoveri, sul tasso di occupazione delle terapie intensive. A confermare i nostri dubbi, i pareri di alcuni operatori sanitari, tra medici di famiglia, ospedalieri, infermieri, che abbiamo incontrato in varie zone di Roma e in alcune province della nostra regione. “Qui siamo stati graziati da una diffusione del contagio meno aggressiva rispetto al Nord Italia”, sostengono all’unisono. Questo è certo ma dai dati diffusi con cadenza bisettimanale c’è da tenere in conto il numero dei tamponi positivi, uno dei parametri più importanti, secondo l’Istituto superiore di sanità. Il paradosso è che più tamponi si fanno, più si ha la probabilità di trovare i contagiati, con il risultato che, le regioni più virtuose nel numero dei controlli effettuati, potrebbero avere la sgradita sorpresa di una classifica alta quanto a persone infette. Forse per questo la Regione Lazio ha impostato la sua campagna con toni ridondanti ma, andando a verificare, emerge un numero risibile di cittadini “tamponati”. Al momento sono previsti 64 tamponi ogni 100 mila abitanti, una cifra che non ci aiuta a cercare gli asintomatici, il vero rischio, la cui gestione oculata ci permetterebbe di intervenire in modo più razionale nell’organizzare la cosiddetta fase 2. Al momento i tamponi effettuati sono 234 mila su un totale di 5milioni e 800mila residenti, contro i 10 milioni di abitanti della Lombardia. Dai numeri provenienti dagli ospedali risulta, fra l’altro, che le degenze sono molto lunghe, ogni ricovero sembra che nel Lazio duri molto più che altrove. Ci auguriamo che ciò consista solo in un eccesso di zelo da parte dei sanitari ma il dato rimane comunque poco decifrabile. Sarebbe il caso che, nelle conferenze stampa dell’assessorato, si chiarissero anche questi aspetti, non soltanto ciò che fa gridare a eventi quasi miracolosi nella Regione Lazio che, con circa 1.111 ricoverati si colloca al terzo posto in Italia, con una percentuale del 12 per cento e un calo lentissimo nelle dimissioni. Si consideri inoltre che le nostre terapie intensive sono impegnate con 67 degenti mentre nelle altre regioni il tasso scende vertiginosamente. Considerato che epidemiologi e virologi sono piuttosto attenti ai ricoveri in terapia intensiva e calibrano sempre le cifre verificando le differenze tra contagiati e guariti, sono molti i medici a cui le cifre diffuse non appaiono chiare. Ci si chiede se nel Lazio siano o meno ancora attivi dei focolai nelle Rsa, di cui nessuno dà più notizie. Sono passate sotto silenzio perfino le accese polemiche tra i vertici della Regione e le direzioni delle residenze assistenziali. Sebbene fossero state inviate diverse sollecitazioni a tali strutture per il rispetto delle misure di contenimento del virus, secondo Sebastiano Capurso, vicepresidente dell’Anaste – associazione che rappresenta 400 imprese che gestiscono le Rsa – “la regione aveva fornito soltanto raccomandazioni, non disposizioni cogenti e due o tre giorni di incertezza hanno creato il disastro”. Intanto nel Lazio è partita la campagna di screening per 300mila test sierologici, indagine effettuata con prelievo che serve a valutare la presenza di anticorpi denominati IgG e IgM nel sangue. In caso di positività, si evidenzia l’avvenuto contatto con il virus del Covid-19 e occorre fare un approfondimento con il tampone orofaringeo per verificare lo stato di salute e la potenziale contagiosità. Al momento, su 20mila soggetti testati, sono stati rilevati 9 tamponi positivi ad anticorpi IgG. Traslando tale parametro per i 6 milioni di cittadini del Lazio, dovremmo temere una diffusione del virus tra circa 3.000 asintomatici positivi, un numero non indifferente, pensando che potrebbero esserci tante piccole “bombe” in circolazione. Arrivare a ottimizzare il programma che l’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato va sbandierando ai quattro venti “Testare, tracciare, trattare”, con tali premesse sembra un traguardo inarrivabile. Per la comunicazione ufficiale però “va tutto bene, il modello Lazio è insuperabile e ambito da tutti”. Fino a prova contraria.
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